Scheda
a cura di Maria Luisa De Santis
La cifra del lungo percorso artistico di Giuseppe Panariello è quella di una instancabile sperimentazione che in nulla indulge alle aspettative più scontate dei fruitori ed esemplifica con costanza quanto sia effettivamente diventato aperto il concetto arte dal novecento ad oggi.
Dalì ha scritto: “l’arte è fatta per disturbare, la scienza per rassicurare”, così quando Panariello presenta le sue ultime opere racchiudendole sotto la definizione comune di Sinfonie fa, già da qui, un’opera di disturbo, inducendoci con questa definizione, all’ attesa di rappresentazioni di idilliaci paesaggi o di sognanti ritratti avvolti in una fusione di morbidi colori.
Invece Panariello che ha cercato da sempre l’utilizzo di materiali particolari, meno familiari alla pittura e alla scultura tradizionali, con le Sinfonie ci presenta addirittura dissonanti e disturbanti lamiere arrugginite.
La sinfonia infatti non è ciò che potremmo banalmente aspettarci piuttosto è l’accordo tra il supporto stridente della lamiera e un segno artistico ridotto quasi all’essenzialità del gesto. Torna in mente l’uso di pochi materiali e pochi segni archetipi propri dell’arte povera fine anni sessanta, ma nel caso di Panariello la ricerca si tinge di intimo e personale; certo non privo d’importanza, in questo senso, è avere presentato e suddiviso questi ultimi lavori in quattro gruppi contrassegnati dal nome di musicisti amati dall’autore e ognuno a proprio modo, rivoluzionario: Rachmaninov, Skrjabin, Debussy, Franck.
La sinfonia dell’artista, cioè l’accordo da ricercare è nell’accostamento tra il colore e la natura del supporto con il colore e la natura del gesto.
Colore della terra bruciata, quasi ruggine fertilizzante, il supporto è attraversato da morbide curve di glitter luminoso che sembrano sospese e poi depositate creando immagini anche oltre l’astratto. Sono forme di luce che illuminano la superficie, come grandi pennellate a volte sfrangiate in sgocciolature brillanti, residui luminescenti di novae celesti. La terra si oppone simbolicamente al cielo come principio passivo al principio attivo; la terra è la sostanza universale, caos primordiale illuminata in questo caso dal valore complementare della luce.
E quando sulla terra il gesto dell’artista si tinge di nero il mondo ctonio sembra salire in superficie a ricordare la parte inevitabilmente misteriosa dell’universo e impossibile da rischiarare. Panariello disturba la nostra passività di fronte all’arte e ci impone riflessioni e provoca cambiamenti di stati d’animo.
Questo insieme di opere considerate all’interno di tutta la produzione dell’artista appare un ulteriore prosciugamento della rappresentazione, qui affidata solo ad un accordo inusuale di cromie e alla forte valenza comunicativa di una traccia grafica sempre più essenziale ed emotiva.
La realtà oggettiva di una lamiera sottoposta a lungo e sorvegliato processo di ossidazione e la realtà del glitter così fortemente legata al mondo forse potremmo dire più fatuo della moda vengono sublimati dal lavoro dell’artista e diventano un mezzo potente per realizzare la propria arte.
Si potrebbe citare il primo punto del manifesto dell’astrattismo americano di cui furono firmatari Gottlieb, Rothko e Newman: “Per noi l’arte è un’avventura che ci conduce in un mondo sconosciuto”. Mi pare di poter dire che la cosa valga anche per Panariello. Arte come avventura per giungere ad un mondo sconosciuto, con l’aiuto della musica che tanto ama, e che, come scrisse il poeta e pittore visionario Khalil Gibran, è un’arte “basata sull’armonia tra cielo e terra, è coincidenza tra disordine e chiarezza”.
Ecco cosa sono le Sinfonie di Giuseppe Panariello: coincidenza tra disordine e chiarezza, tentativo di raggiungere l’intrinseca spiritualità del suono e aspirazione a donarla a chi sa guardare senza fretta, cosa però difficile in un mondo come il nostro sempre più chiassoso e dedito a un facile, immediato e vano consumo.