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Vanitas Vanitatum

Museo Diocesano Sorrentino-Stabiese MUDISS

Vanitas Vanitatum

Vanitas Vanitatum di Giuseppe Panariello a cura di Maurizio Vitiello.
Inaugurata Sabato 26 ottobre 2019 ore 17,30

Scheda

a cura di Maurizio Vitiello
Giuseppe Panariello è un artista di alto profilo linguistico, che, recentemente, ha vinto il primo premio alla “Biennale Internazionale della Calabria Citra” (BiCc), a Praia a Mare (CS), e il secondo premio alla XLVI edizione del “Premio Sulmona”. Ha all’attivo numerose partecipazioni a rassegne e a varie personali in gallerie pubbliche e musei di prestigio. Con la locuzione “Vanitas Vanitatum” si apre e si chiude il lungo discorso di Qoelet, che occupa i dodici capitoli del libro omonimo. Qoelet, o Ecclesiaste, uomo saggio e maestro, dopo aver esplorato ogni aspetto della vita materiale, giunge alla conclusione (già preannunciata all'inizio del testo) che tutto è vanità. Il che non deve impedire all'uomo di riconoscere in Dio il creatore e di osservare i suoi comandamenti, come conclude il breve paragrafo finale a opera di un commentatore posteriore. Le elaborazioni convinte di Giuseppe Panariello contengono sensi e segmenti di una declinazione che ci fa pensare a Mark Rothko. … I quadri devono essere miracolosi. Nell’istante in cui un quadro è terminato, ha fine l’intimità tra la creazione e il creatore. Il creatore diventa esterno alla sua stessa opera. Per lui, come per chiunque altro Il quadro dovrà essere una rivelazione, la soluzione inattesa e inedita di un problema che da sempre urge dentro. … non credo che sia mai stata questione di essere figurativi o astratti. Piuttosto si tratta di porre fine a questo silenzio E a questa solitudine, di dilatare il petto E tornare a respirare. (Mark Rothko) Giuseppe Panariello, tra l’altro, precisa: “C’è discontinuità pittorica. Una netta contrapposizione con generi e mode pittoriche. Oggi, la pittura è governata dall’urgenza degli eventi sociali, dalla cronaca, dalla crisi mondiale della politica e tantissime altre criticità. Oggi, l’artista è il poeta contemporaneo della ricerca, necessaria per avviare una riflessione sulle variabili fondamentali sull’arte, senza cedere alla tentazione di far prevalere il mercato sulla personalità lavorativa.” Donatella Trotta, tra l’altro, segnala: “I supporti, poveri, e la materia pittorica, scelta con acuta cognizione per una disamina dei labirinti dell’anima, sommano composizioni senza compiacimenti, ma d’impatto. L’arte oltre l’arte. Per parlare alle coscienze di tutti con il linguaggio radicale – ancestrale – del gesto. E per generare un atto (non soltanto est-etico ma anche poetico, politico) che possa dare un senso nuovo all’insensatezza del mondo, un futuro al principio speranza, un orizzonte (o una meta, perennemente mobile) alla spaesatezza e all’erranza come destino dell’umanità … Nell’attuale crisi globale che è - prima ancora che economico-finanziaria e sociale - fondamentalmente una crisi di senso, e di orientamento, il progetto di Panariello offre così una significativa sintesi tra Oriente e Occidente che da anni, peraltro, ispira in modo subliminale la sperimentazione artistica dell’autore e didatta napoletano, permeando il dettato inconscio della sua concezione laicamente sacrale dell’arte, nutrendo la sua sensibilità vibratile e determinando il suo approccio non impositivo, prescrittivo, dogmatico ma sempre maieutico alla realtà.”. Giuseppe Panariello sottolinea icone metaforiche, penetranti nella loro semplicità formale, che investono e interrogano l’immaginario. Sono la libera evocazione di passati lontani, di testimonianze post-moderne, di equilibri estetici fondati sulla percezione di un tempo sempre presente. La visione di intenso rigore formale porta alla riflessione su un silenzio dell’anima, quell’anima che ha scandito il tempo e che ha conosciuto i luoghi di uno spazio interiore. L’opera resta come muta testimonianza, residuo di una realtà passata, ma non dissolta. Giuseppe Panariello, Pippo per gli amici, riesce con materiali particolarissimi a esprimere un’estetica d’indubbia qualità performativa e di primo piano concettuale. Dei suoi lavori si possono apprezzare finezza compositiva, equilibrio raggiunto, armonia della bellezza, spiritualità esistenziale, sensibilità ben distribuita, amalgama visivo e il rosso pervasivo, incidente e sinteticamente impostato, folgora istantanei scatti, distribuiti e scalati in una calibratissima teoria di convenienti e appropriate azioni, dinamiche e mirate. In conclusione, quest’esposizione merita attenzione per meglio comprendere la fattura di opere singolari e particolari, realizzate grazie al “gesto” cromatico con glitter su lamiere di ferro, appositamente fatte arrugginire.

Recensioni e Critica

Caro Panariello partecipando all’inaugurazione della tua mostra “VANITAS VANITATUM” al Museo Diocesano Sorrentino-Stabiese MUDISS di Castellamare di Stabia ho avuto l’istinto di scriverti questo pensiero. Le tue opere hanno bisogno delle tue parole, quasi un permesso concesso, poi raccontano in maniera torrenziale veemente la loro presenza. Il bagliore effimero, tolto le inibizioni, che con lustrini nascondono ciò che si smonta, avviene nel deserto di un metallo malato, la certezza che ogni presenza, ogni esistere è un atto di presunzione destinato a sparire, unica traccia, sedimento di materia e la vita lasciata dal metallo, polvere di terra, di rosso che è marcito. Le tue opere inizialmente non hanno sedotto il rosso ruffiano in lusinghieri ammiccamenti per una conquista a buon mercato. Poi le parole, più che raccontare dei figli, ossia le tue opere, hanno fatto una sorta di confessione di chi crede che anche il suo disperato sgomento, per ciò che siamo diventati, benché atto d’accusa a tutti, rivolti anche ai presenti che guardavano le tue opere, si può dire che l’amaro epilogo è vanitas vanitatum.
Salvatore Gaudino